
Ci troviamo di fronte a quella che modernamente si potrebbe definire una fiaba dove l’autore, attraverso un racconto breve, magnificamente presenta al lettore l’affascinante e irripetibile storia della fondazione di Roma attraverso i suoi miti più belli.
Giovanni Nucci individua nel ricco affresco del mito antico della fondazione di Roma un percorso coerente, e ce lo trasmette attraverso una logica narrativa che dà al lettore il senso di un destino di Grandezza e Fortuna che ha portato alla nascita di una delle civiltà più importanti della storia: un lungo racconto, che porta dalla distruzione di Troia alla fondazione della più grande città del mondo, partendo dalla figura di Giulio Cesare, politico, console, Pontefice massimo, oratore e scrittore, considerato uno dei personaggi più importanti e influenti della storia di Roma, divenuto nell’immaginario collettivo simbolo della romanitas.
Per Giulio Cesare è davvero una giornata indimenticabile. Si sta preparando al trionfo dopo esser tornato vittorioso dalla guerra contro Pompeo, e assapora il momento in cui salirà sul Campidoglio fino al Tempio di Giove, Padre degli dèi, dove lascerà in offerta come da tradizione, le armi del nemico sconfitto:
“Giulio Cesare guardò il cielo e gli sembrò che Roma avesse una luce meravigliosa. Una luce che così bella non l’aveva mai vista, in nessun altro posto. Eppure, lui negli ultimi vent’anni aveva girato gran parte del mondo conosciuto. Si emozionò, vedendo quanto era immensa la città. E ricordandosi di come l’avesse sempre immaginata proprio così: destinata esattamente a quella grandezza.”
Cesare corre con la mente alle antiche storie che narrano della fondazione di una città destinata a dominare il mondo:
“Giulio Cesare sapeva benissimo come la grandezza e la vastità della repubblica fossero insite nella storia di Roma sin dall’inizio, nella sua nascita, negli eroi che l’avevano fondata, e negli dèi che l’avevano protetta. Pensò a Romolo, a suo fratello Remo. A quando la lupa e il picchio li avevano sfamati salvandoli dalla morte. Al re Pico e a suo padre Saturno, a Ercole, e a come aveva sconfitto l’orribile Caco quando il Lazio era abitato solo da pastori ed Evandro era venuto a viverci dalla Grecia. A Pomona, a Vertumno, a Flora e al dio Fauno. Agli dèi che governavano quelle terre prima che Enea vi giungesse da Troia con l’aiuto della madre Venere. Pensò al lungo viaggio di Enea, al suo amore per la regina Didone e ad Anchise, padre dell’eroe e sposo mortale della bellissima Venere. Pensò alla guerra che Enea aveva combattuto contro Turno e al suo matrimonio con Lavinia, figlia del re Latino. Pensò ad Alba Longa, al tiranno Amulio, alla principessa Rea Silvia amata da Marte. Pensò al pastore Faustolo e ai gemelli che sconfissero Amulio e fondarono la più grande città del mondo. Ecco, gli sembrava chiaro: Roma era la bellezza e la guerra.”
La versione tramandata da Plutarco della fondazione di Roma torna con questo testo, in una versione per ragazzi ma non per questo semplicistica o poco raffinata; con maestria l’autore narra intrecciando in un unico filo descrittivo l’avventura (il viaggio di Enea), la guerra (la conquista del Lazio e la vittoria contro i Rutuli), il mito (Marte, Venere e Saturno, dèi da cui la città discende), la leggenda (i gemelli e la lupa) e la storia (Romolo, il primo re, e Numa il re saggio).
“E da quel momento, mentre Evandro gli mostrava quei luoghi, a Enea sembrò di poterli vedere come sarebbero stati nel futuro. Era come se quella città, che ancora non c’era, per magia si mostrasse per quella che sarebbe stata. Mostrasse una grandezza che in realtà stava già lì, nella palude fra i due colli. Così, scendendo dal Campidoglio, a Enea sembrò di vedere il Foro, o di immaginarlo. Il tempio di Saturno, sulla destra, e poco sotto la via Sacra, di fronte l’arco di Settimio Severo e in mezzo i rostri, da dove i magistrati avrebbero parlato. Poi, più avanti, da una parte la basilica Giulia e dall’altra la basilica Emilia. E dietro a questa la Curia, dove si sarebbe riunito il Senato. Ancora più avanti, il tempio di Giulio Cesare, e sulla destra il tempio di Vesta con accanto la casa delle vestali. Poi, in fondo, l’anfiteatro costruito da Flavio: il più grande stadio del mondo. Accanto, l’arco di Tito. E dietro, sul Colle Oppio, l’enorme villa dell’imperatore. Come Enea girava lo sguardo, Roma continuava a fare sfoggio di tutta quella bellezza: i tetti, i templi, la cupola del Pantheon, la piazza dove allagavano la strada e facevano combattere le navi, il campo di Marte, l’altare della Pace, il mausoleo del primo fra gli imperatori. Enea guardava, e Roma si mostrava come sarebbe stata in ogni tempo: eterna”.
Non da ultimo, molto belli i disegni a corredo di Allegra Agliardi, con un coloratissimo e molto originale albero genealogico, che si inseriscono non come semplici illustrazioni ma vere e proprie cornici al testo narrato.
Francesca Senna