COME IL GIORNO E LA NOTTE di Francesca Erriu Di Tucci

di Roberto Maggi

Seppur lontani dalle ambientazioni e dalle situazioni estreme di un film come Badlands, nel quale l’allora esordiente T. Malick fa confluire tutti i mali endemici di una società cruda e cinica, pure delle assonanze si possono ritrovare tra la pellicola nordamericana e questo brillante romanzo di F. Erriu, i cui personaggi, fatalmente destinati a una vita ai margini, agiscono sulla spinta di un impulso ribelle, guidati dagli istinti irrazionali di cui spontaneamente si nutre la rabbia giovane. Non solo per l’evidente similitudine della trama incentrata su giovani vite, pressoché adolescenziali, ma anche per alcuni leitmotiv che fanno da sottofondo alla narrazione: gli elementi di pericolo, l’aspetto della fuga, le suggestioni sonore.

D’accordo, nel caso del romanzo dobbiamo immaginare noi le scene e abbinarvi i brani, ma non è forse questa l’abilità dello scrittore, mostrarci lo svolgimento degli eventi come se proiettati su uno schermo?

Le vicende di questi ragazzi diseredati si vanno svolgendo fluidamente lungo il corso della narrazione -con un incedere stilistico lineare e ben congeniato- costantemente mosse da una impellente ricerca di luce, di apertura verso altre prospettive, altri orizzonti. Un’esplorazione, in definitiva, per una via d’uscita da quello che sembra essere un claustrofobico tunnel di perdizione.

Soprattutto nei due personaggi principali, Tom e Vin, quasi due alter ego in smania di complementarietà, l’ansia di fuga dalla realtà si percepisce più chiaramente, dettata dalla necessità di trovare una propria via, un luogo altro ove far respirare le proprie anime. Perché sono proprio quelle due anime a oscillare in perenne sofferenza, soffocate da un’infanzia traumatica e prive di quella leggerezza che ogni fanciullo dovrebbe avere.

E se il destino imposto dalle circostanze in quella fase puerile poco spazio lasciava al libero arbitrio, alla facoltà di scelta, quello attuale in cui li fotografa il racconto, in piena evoluzione di coscienza e conoscenza, quando la mente dell’adolescente si ubriaca di una miriade di scoperte, sì che lascia degli spiragli, un vago senso di promessa. Inducendo a svolte coraggiose, andando controcorrente, rischiando sulla propria pelle: ribellandosi appunto.

Non sorprende, conoscendo le attitudini e le passioni dell’autrice, il ricorso a frequenti citazioni musicali, e a che musica si attinge! Vengono chiamati in causa gruppi come i mitici Doors e i monumentali Pink Floyd, con tanto di estratti di alcuni testi del vate/frontman Jim Morrison. E chi si poteva nominare, se non il cantore della ribellione giovanile per eccellenza, il Re Lucertola? Ed ecco che magicamente siamo introiettati nei suadenti versi di The crystal Ship, che fanno viaggiare la mente di chi li ascolta come in cima a un carro di delizie.

E parlando di poeti, ancor più pregnante è il riferimento, più volte reiterato nel corso del romanzo, a Samuel T. Coleridge e alla sua mistica The Rime of the Ancient Mariner, la ballata del vecchio marinaio che è qui, oltre che tributo di riconoscenza della Erriu, anche una sorta di fil rouge parallelo, contraltare metastorico della narrazione, che dà corpo a un possibile viatico di sogno e trascendenza, di passaggio verso una nuova realtà o, più appropriatamente, verso un nuovo stadio.

Si ha a tratti l’impressione, seguendo la tensione crescente del romanzo, che il dipanarsi descrittivo ci riservi un clamoroso punto di decollo, ma esso rimane nella sua cifra espressiva fedele a se stesso, anche nelle punte più alte di pathos: lo stesso tragico epilogo in cui l’irrequieto Tom pone fine al suo aguzzino, padre-padrone eclettico e pervertito, si svolge senza eccessivo sconquasso. Come in una ieratica scena di teatro (altro contesto spesso citato e chiaramente amato dalla scrittrice), da immaginare su di un palcoscenico scarno, in bianco e nero. E questa esplosione mancata va forse intesa come metafora della vita stessa che, come nella migliore lezione buzzattiana, si condensa in un insieme di aspettative deluse, anche quando i segnali ci farebbero presagire chissà che “invasione tartarica”.

Ma rimane il fatto cruciale che per i due giovani eroi, sempre più annodati in un rapporto dalle tinte omofile, ci sarà infine una liberazione; sia essa psicologica e fisica, come nel caso di Tom, sia essa di svincolo dalla sofferenza e dalla paura, a qualsiasi livello la si voglia pensare, come nel caso di Vin. Due anime che, nonostante il sangue, le esperienze degradanti, le angherie, rimarranno pure e speranzose, simbioticamente unite, seppur solo in astratto, seppur in un complementare mondo eterico. Ma libere di veleggiare su di una nave che simbolicamente ricorre, in un viaggio che nessuno sa dove conduce. Legate tra loro ma prive di catene, in sintonia, magari rapite nell’ascolto di una concorde sinfonia e liricamente destinate “a raccontare per sempre la loro storia”.

Roberto Maggi