ANTENATI DEL FUTURO di Rossella Seller

Di Roberto Maggi – La poesia di Rossella Seller è un variopinto caleidoscopio di suggerimenti. Attraversa luoghi, memorie, esperienze, passaggi di vita e di tempo. Nelle sue descrizioni fisiche ed intime si rintracciano dei binari accennati, dei paesaggi abbozzati, che volutamente ci distraggono da una definizione fotografica. Non si abbandonano alla funambolica urgenza rimbaudiana di fissare vertigini, ma restituiscono un tratteggio, un disparato mosaico di frammenti, dove lucidamente vengono impressi i pensieri, le emozioni, le intuizioni che attraversano le nostre vite in continuo cambiamento. Non a caso il sottotitolo della raccolta le definisce Poesie della trasformazione, a rimarcare il fatto che la ricerca poetica tenta di plasmare l’evoluzione dell’anima allo snodarsi degli eventi, in un andamento simbiotico tra corpo eterico e flusso temporale.
D’altronde non è questo il ruolo fondante della poesia, traghettare screziati stati d’animo sulla pagina? Nel caso di specie, con movimenti fluidi, come gocce di pioggia sottile.

Non è prioritario per l’autrice imprimere significanza esplicita, tradurre un messaggio in versi, ma tracciare una via d’ascolto, anche quando la composizione si avvicina a temi attuali e sussurra una velata denuncia, facendosi portavoce della debacle sociale e ambientale dei tempi moderni.

I quadri di questa silloge eterogenea sembrano nascere da una tavolozza primigenia di colori, sfumati, compositi, privi di sottofondi leganti, ma assoggettati arditamente al ciclo delle esperienze. E così ci vengono donati sussulti, sprazzi, visioni, riflessioni: “l’odore della paura che esala un grido”, “le linee curve della luna” osservate da un finestrino. Ed ecco che veniamo proiettati, senza soluzione di continuità, attraverso i passaggi delle stagioni e dei loro “vapori”; attraverso le suggestioni dei tanti luoghi visitati dall’autrice quali testimonianza di assimilazione e crescita; attraverso situazioni ed oggetti emblematici, come il vestito dell’arlecchino che trasuda incertezza, frantumata caducità, incompletezza: “col mio vestito addosso/quando si espande sulle cose/sento il pensiero che scivola via/e frugo nella soffitta della memoria/alla ricerca di un pezzo mancante”.

Non sorprende, in un lavoro così variegato, la presenza di un piccolo saggio compositivo in prosa a chiusura dell’opera, un delicato racconto che ci trasporta nel suggestivo ambiente di un laboratorio di chiavi, di quelli che, in questa scialba epoca dominata dalle grandi catene produttive, quasi non esistono più. Eppure anche questa è solo in apparenza una storia descrittiva: al contrario, essa si concentra in un viaggio nelle tortuosità dell’essere che tenta di rispondere a sempiterni dilemmi. Saranno “Le chiavi del regno” capaci di rivelare all’orecchio sensibile risposte salvifiche e di conforto?

Roberto Maggi