
Esiste un piccolo capolavoro nella storia della Filosofia e della letteratura universale, si tratta della Lettera sulla Felicità di Epicuro. Il filosofo, il cui pensiero è stato per secoli travisato e accostato a l’idea di un uso smodato del piacere, si rivolge a Meneceo e lo esorta da subito a praticare la filosofia che, sostiene, non è per giovani o per vecchi ma per chiunque sia alla ricerca della felicità.
Epicuro fondò la sua scuola, Il Giardino, in un momento in cui il grande pensiero greco aveva già raggiunto il suo apice con Socrate, Platone ed Aristotele che avevano indagato le grandi questioni filosofiche. Epicuro sposta l’attenzione su altro. Riallacciandosi a temi presocratici quali l’atomismo di Democrito, si rivolge all’osservazione della vita stessa e dell’etica personale, che passa attraverso la conoscenza e la pratica della Filosofia portando alla ricerca della Felicità: “Cerchiamo allora di conoscere le cose che danno la felicità, perché quando c’è abbiamo tutto, se non c’è facciamo di tutto per averla”.
Ma, sorpresa per coloro che si erano accontentati di ciò che parte della storia ci ha tramandato, la Felicità, secondo il filosofo, non si trova nel lasciarsi andare a bagordi, lussuria e vizio, ma nel vivere una vita sobria e morigerata. La scuola, il Giardino nel quale passeggiava e insegnava ai suoi allievi, non era altro che un orto dove poter gustare semplici frutti della terra quali ravanelli, carote, finocchi, non certo un giardino di peccaminose delizie!
La cattiva fama, cresciuta nel tempo su Epicuro, probabilmente è da ricercare nel fatto che gli epicurei fossero sostanzialmente dei materialisti che predicavano la liberazione dalla paura della morte: “La morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza.”
Secondo Epicuro l’universo di cui noi facciamo parte è costituito solo di materia (gli atomi) e spazi vuoti e così è anche per la nostra anima che ci accompagna ogni istante della vita stando intorno al nostro corpo. La conseguenza logica è che alla morte anche gli atomi che costituiscono l’anima si dissolvono. La morte è allora la fine della coscienza e perciò non può essere emotivamente dolorosa. Questa consapevolezza porta a superare “la paura della morte che, negli uomini stolti è invece causa di infelicità”.
Consegue che conviene avere uno stile di vita saggio, vivere sapientemente e pensare che è “meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato”.
La Lettera sulla felicità, in poche righe, disegna un modo di vivere nuovo (Epicuro morì nel 270 a.C.), insegnandoci ad apprezzare le cose semplici, anche nei sapori: “I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l’acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca”. Sostiene poi la netta divisione fra gli uomini e gli dei che, dice, “esistono, è evidente a tutti, ma non sono come crede la gente comune”, ritenendo il loro mondo ben separato da quello di noi mortali, e quindi, lasciando perdere le preoccupazioni per il soprannaturale, è meglio concentrarsi sul nostro vivere, apprezzarlo al meglio, e non temere il non vivere più.
di Fabio Ascani