LE NOTTI BIANCHE di Fëdor Dostoevskij

(articolo di Fabrizio Iacobazzi)

Romanzo, racconto lungo, romanzo breve. Le definizioni lasciano, in questo come in molti altri casi, il tempo che trovano.

Quel che è certo, e che più conta, è che si tratta di un’opera narrativa che lancia verso le vette che, negli anni successivi, raggiungerà più e più volte, uno dei massimi romanzieri della letteratura universale.

L’autore vi giunge poco dopo l’esordio costituito dal primo romanzo, “povera gente”, seguito da “il sosia”, opere per certi aspetti immature ma ricche di spunti e indicative di uno stile personale che darà poi i suoi massimi frutti.

In questo breve romanzo, meno di sessanta pagine, non vi è davvero una parola fuori posto, ogni espressione definisce un momento preciso e una particolare atmosfera.

In una San Pietroburgo dai colori intensi e vivaci e dal cielo ampio e avvolgente, quasi protagonista della storia insieme ai personaggi, avviene l’incontro tra un giovane uomo e una giovanissima donna.

Entrambi, nonostante l’età, hanno già assaporato crudezze e amarezze della vita e conducono esistenze appartate e grigie.

Il giovane impiegato senza nome, definito semplicemente come “il sognatore”, si imbatte in Nàstenka, disperata, che si sporge dal parapetto di un canale quasi in procinto di commettere per amore un gesto irreparabile.

Vinta la sua acuta e patologica timidezza si fa avanti e riesce a distoglierla dalla malsana intenzione.

Da questo si sviluppa la storia successiva, gli appuntamenti alle nove di sera delle quattro notti successive, sempre nello stesso punto, durante le quali i due si raccontano vicendevolmente le loro esperienze e nel corso delle quali emerge un sentimento d’amore che per lui è evidente e imperioso, per lei è ambiguo e offuscato dal senso di intensa amicizia che il giovane le ispira e, soprattutto, dall’attesa che ricompaia l’altro, promessosi a lei e poi partito da un anno senza dare notizie.

Tutto o quasi si svolge in forma di dialogo: Dostoevskij lascia ai personaggi il compito di metterci al corrente delle loro esperienze, dalle loro vive parole apprendiamo chi sono e come hanno vissuto le loro faticose esistenze, con descrizioni di particolari persino comici più che grotteschi (valga per tutti il fatto che Nàstenka vive in casa con l’anziana nonna quasi cieca, che la tiene legata a lei con uno spillo per non farla allontanare e poterla controllare).

Cosa accade dopo queste notti?

E tutti vissero felici e contenti?

A molti di noi potrebbe piacere una conclusione del genere, ma sarebbe essa abbastanza “russa” e dostoevskijana?  Comunque vada a finire, in una frase l’autore rende il senso della storia intera: “Dio mio! Un intero minuto di felicità! E’ forse poco, sia pure in tutta la vita di un uomo?”