LA BUONA SPERANZA di Fabrizio Iacobazzi

(Articolo di Roberto Maggi)

Come nel mito di Pandora, lo spirito della speranza alberga in fondo al vaso. Si annida nell’intimo, pronta a uscire, richiamata da un bisogno d’evasione. “La paura può farti prigioniero. La speranza può renderti libero”, ci viene ricordato nel bellissimo film The Shawshank Redemption (Le ali della libertà). Frase che suona quasi da sottotitolo da apporre al primo romanzo di Fabrizio Iacobazzi, nel quale la citazione calza a pennello.

Cosa sono in fondo le vicende narrate se non la rappresentazione essenziale di un dramma del disagio, di un vicendevole rapporto dominato dal timore? Eccoci allora già proiettati nel cuore della questione, nel motivo trainante che agita i protagonisti della storia. Essi sono due giovani insegnanti che il Destino fa conoscere in una scuola periferica romana: un lui (Lucio) e una lei (Catia) entrambi belli, aitanti, invidiati. Quasi dei modelli perfetti, dotati di fascino fisico e di abilità professionale, capaci di svolgere il loro lavoro con passione e profitto. Eppure, sono soli, vivono la frustrazione di una vita scollata, svuotata d’amore, precaria: nel loro rapportarsi sono un disastro. Impacciati, timidi, insicuri. Come allora superare l’ostacolo? Come vincere le proprie fobie? La domanda scorre in un moto di tensione durante lo sfogliare delle pagine, e ci tiene avvinghiati in un’attesa che sa di piccole aperture, di aspettative, di risoluzioni. Ma anche, inevitabilmente, di passi falsi, di richiusure, di fallimenti.

Dal punto di vista formale, La buona speranza (Robin Edizioni, 2018) si presenta come un romanzo coeso, ben congegnato. La stessa suddivisione dei capitoli che ricalca i mesi cadenzati di un anno scolastico rafforza questa visione ordinata, vieppiù consolidata da un linguaggio lineare, chiaro, descrittivo, a tratti schierato a ridosso del minimalismo. Ma, come fanno i protagonisti nel loro contraddittorio essere/agire, riserva delle sorprese. Vi sono degli improvvisi lampi di richiamo sensoriale, emotivo, degli inserti intrisi di sfumature psicologiche profonde. Come si legge ad es. nella parte centrale di pag. 204, dove all’anima tormentata di Catia (alter ego, qui, dello stesso autore?) si dà libero sfogo attraverso l’avvincente passaggio dall’io narrante all’io parlante, e dove, quindi, la voce esterna si tramuta mirabilmente in quella interiore. La natura descrittiva del testo ben ci delinea le situazioni, gli ambienti, i caratteri, ma queste svisate introspettive, da sole, ci delineano un paesaggio completo, senza bisogno di un costrutto ridondante. E di svisate non a sproposito si parla: nel libro si manifesta chiaramente l’amore dell’autore per la musica, disseminato com’è di citazioni di gruppi mitici del rock: Who, Genesis, Led Zeppelin, Dire Straits, Rush. Sono questi ed altri grandi autori che egli fa suonare al protagonista Lucio e alla sua band di amici un poco sgangherata.

Come ogni autore che si rispetti, Iacobazzi traferisce nello scritto le sue passioni, i suoi interessi, le sue visioni, probabilmente le sue stesse fragilità. E lo fa a volte con sprazzi di sapore proustiano, come in un passo emblematico dove si palesa in modo evidente la simpatia per la pallacanestro: “È ora di cominciare a far sentire il rumore dei palloni da basket battuti sul pavimento”. Quel suono rievocato è con tutta plausibilità un suo indelebile ricordo.

In questo romanzo attuale, ambientato nei nostri giorni, tutta la vicenda punta sul valore del rapporto umano estrinsecato a più livelli (con gli alunni, i genitori, gli amici e, in straziante prospettiva, il partner) lasciando volutamente i temi sociali e politici sullo sfondo. Esso è l’elemento fondante in grado di strapparci dall’infelicità indotta da una società sempre più disumanizzata e cinica.

Dove approderanno i nostri eroi senza macchia? Innanzitutto in una ricerca di loro stessi, delle loro debolezze e paure nascoste. In un progressivo disvelamento psicologico essi arriveranno a confessarsi in maniera aperta, accettandosi e trovandosi. Il crescendo emotivo e commovente che nobilita la parte conclusiva del romanzo ci suggerisce che per queste disorientate anime ingenue la fine della tempesta è vicina, annunciando una rinascita. Quasi per incanto richiamando in mente il travagliato viaggio narrato da Pietro Germi nella visionaria pellicola Il Cammino della speranza. Dopo la tormenta, c’è sempre un nuovo confine al sole che ci aspetta.

Roberto Maggi