di Jean-Baptiste Benoît Eyriès, Johann August Apel, Friedrich August Schulze, Heinrich Clauren, Johann Karl August Musäus

Il termine Fantasmagoriana ha un significato molto profondo che interessa altri campi oltre alla letteratura. Il concetto ci viene magistralmente spiegato dal lungo saggio introduttivo di Fabio Camilletti che per certi aspetti risulta interessante tanto quanto i racconti, e che grazie all’insieme delle note inserite ne fanno un vero trattato sul racconto gotico in Europa, che dalla letteratura spazia fino alla psicologia e alla storia. Camilletti, professore associato di Letteratura italiana all’Università di Warwick, si occupa non solo della traduzione delle singole storie, ma le impreziosisce con questa introduzione accurata, ricca di citazioni e di aneddoti.

Era una notte buia e tempestosa quella del 16 giugno del 1816, anno definito “l’anno senza estate” a causa di mutamenti climatici avvenuti in tutto il mondo, quando un gruppo di giovani amici – il poeta Percy Bysshe Shelley, la sua fidanzata nonché scrittrice Mary Godwin (poi Mary Shelley), Claire Clairmont, la sorellastra di quest’ultima e amante di Byron, e lo scrittore John W. Polidori – si ritrovarono a Villa Diodati, la residenza di Lord Byron vicino Ginevra, immersi in un’atmosfera plumbea squarciata da lampi e tuoni alla sola luce di candele, in un contesto quasi spettrale per leggere Fantasmagoriana, una raccolta di racconti gotici tedeschi pubblicata in francese nel 1812, a cura di un amateur dietro cui si celava l’erudito Jean-Baptiste Benoît Eyriès – autore dell’intrigante prefazione, e che il mito vuole furono la spinta per la nascita dei capolavori del soprannaturale quali “Frankenstein” di Mary Shelley e “Il Vampiro” di Polidori.

Un libro che ha attraversato i secoli portando con sé un pezzo di letteratura dell’Ottocento, infatti questi racconti – uno più bello dell’altro – possono ben definirsi il fior fiore della letteratura gotica e fantastica del periodo. Sono storie di fantasmi che hanno impressionato generazioni di lettori e che ancora oggi mantengono intatto il loro leggendario fascino. Racconti sospesi fra realtà e immaginazione con in comune, riferimenti agli spettacoli di “fantasmagoria” che spopolavano all’epoca nei teatri e nelle feste cittadine: vale a dire quei giochi di luci, immagini e suoni che si ottenevano proiettando immagini spaventose, in movimento, tramite una versione modificata della lanterna magica: la fantasmagorie (phantasma e allegoria) è infatti la lanterna magica, o meglio la sua evoluzione a fini di spettacolo, dove si giocava sul “terrore” dei fenomeni di apparizione e sparizione. Tipico delle fantasmagorie più evolute tecnicamente, il gioco di luce e ombra diventa lo specchio della dicotomia tra vita e morte; ed è questo che viene messo in scena nelle storie, oltre alla suggestione che deriva dal non riuscire a definire bene i contorni di ciò che è reale e ciò che è invece soprannaturale o pura manipolazione.

I racconti hanno in comune anche la provenienza orale delle storie che raccontano: riproducono la situazione di un gruppo di persone riunite che cominciano a raccontare episodi di cui hanno memoria o che a loro volta hanno appreso da altri, in bilico tra realtà e mistero, sospesi tra la suggestione che li porterebbe a credere a quanto hanno sentito o visto e la ragione che li induce a dubitare. Nel loro essere storie di fantasmi, con la loro struttura soddisfano due grandi bisogni dell’uomo: l’urgenza di raccontare (e, paradossalmente, più il racconto è fantastico più c’è gusto a far pendere gli altri dalle proprie labbra) e la necessità di esorcizzare la paura della morte, di sconfiggerla quasi, inventando un aldilà molto attivo e in costante comunicazione coi vivi.

Otto storie soprannaturali fra castelli incantati, spiriti vendicativi e ritornati dall’oltretomba, fra cimiteri e teschi ventriloqui, che forse oggi non ci turberanno ma sicuramente riusciranno a darci qualche brivido, specie se letti nella penombra di una notte tempestosa fra tuoni e fulmini e insoliti scricchiolii.

Inizia Johann Karl August Musäus, il cui lungo racconto Amore silente è essenzialmente una gradevole fiaba a tema amoroso dove il sovrannaturale, qui come negli altri racconti, è equamente distribuito e la vocazione illusionistica è indubbia. Decisamente più sinistro è l’eccellente racconto di Johann August Apel Ritratti di famiglia, che sviluppa un tema classico della storia di orrori sovrannaturali, quello dei quadri fatali, attraverso la formula di un incastro di storie a scatole cinesi, dove la fantasmagoria è nel tema della cornice, sia quella materiale del dipinto che l’altra metaforica delle narrazioni. Seguono poi ben quattro storie di Friedrich August Schulze: la prima, Il teschio è una deliziosa ghost story proprio sul tema dello spettacolo fantasmagoriano di brividi e illusioni; prezioso l’imbroglione Schuster che si fa chiamare Calzolaro, “dato che nel mio lavoro un nome italiano funziona meglio di uno tedesco”. Seguono La sposa cadavere, una novella nuovamente giocata sul gioco delle cornici, che muove da un motivo classico per evolversi con divertita eleganza e sorprese (si ricordi che Tim Burton nel 2005 trasse da questo racconto il suo omonimo lungometraggio) e lo spaventoso e cupo L’ora fatale, greve di un senso oscuro di fatalità. Quanto a Il ritornante, Schulze narra abilmente il tema degli spettri che si insinuano in un matrimonio borghese. Si passa poi a un ideale dittico, La stanza grigia di Heinrich Clauren (al secolo Carl Gottlieb Samuel Heun) e La stanza nera nuovamente di Apel: dove il secondo testo incalza con divertito virtuosismo il precedente capovolgendone il senso, ma ancora una volta la fantasmagoria è anzitutto l’emozione del racconto. A chiudere la raccolta due appendici: nella prima Camilletti presenta La tempesta ad opera di Sarah Elizabeth Utterson; nella seconda sono riportati gli apparati del Gespensterbuch a suggerire che una lanterna magica è in fondo già quella dell’editoria, pronta a riplasmare un testo da un’edizione all’altra e da una lingua all’altra, in una continua sarabanda di spettri narrativi.

Consiglio vivamente questo volume dal sapore antico, quale metodo validissimo, che si stia al mare, in città o in montagna per procurarsi… dei brividi di letterario piacere.

Un viaggio spettrale alle radici del fantastico moderno, fra castelli incantati, spiriti e ritornanti, per stupirci come nelle antiche fantasmagorie e rispondere alla domanda “Credete nei fantasmi?” con le parole di Madame du Deffand “No, ma ne ho paura”